Andrea Proietti è nato a Trento il 24 febbraio del 2000. Dopo aver frequentato per un periodo di due anni il Liceo Artistico A. Vittoria di Trento intraprende un percorso di crescita individuale e, a partire dal 2018, si dedica pienamente alla pittura dopo aver consolidato in autonomia la tecnica ad olio. Attratto dall’energia e dalla duttilità di questo genere espressivo, vi si immerge totalmente, tocca con mano il mestiere e si ispira all’arte dei maestri del passato ricreando una dimensione di bottega. Tutto questo avviene tramite l’autoproduzione del colore: grazie all’uso di pigmenti in polvere mescolati con olio di lino come legante, ottiene l’impasto desiderato, oltre a una granulosità materica che non sarebbe raggiungibile con l’utilizzo di colori ad olio reperibili sul mercato. L’intento dell’artista è raggiungere un risultato qualitativo che non decada nel tempo e, avendo sviluppato una certa esperienza e dimestichezza nella miscelazione dei colori, ottiene una fulgidezza cromatica che denota una profonda consapevolezza e sensibilità nei confronti della materia già nella fase iniziale. Anche la costruzione del telaio e l’applicazione della tela avvengono in totale autonomia. La progettazione si compie fin da questo primo stadio, caratterizzato da una fase meditativa in cui l’artista comincia a nutrire e curare la sua idea. Il processo di preparazione assume, così, una connotazione del tutto artigianale e questo tratto distintivo restituisce un valore di autenticità al suo lavoro e al suo essere un artista contemporaneo.
Dietro al lavoro di Andrea Proietti ci sono una ricerca e uno studio continuo che lo hanno condotto ad apprendere i principi fondamentali del mestiere per poi intraprendere la sua strada. Questo prezioso bagaglio di conoscenze emerge chiaramente nel suo lavoro. Lontano da imposizioni e impostazioni accademiche, dimostra di avere una certa confidenza con l’arte del passato: in particolare attraverso lo studio del Libro dell’Arte di Cennino Cennini, uno dei primi trattati di pratica artistica, scritto nei primi anni del Quattrocento. Inoltre, Proietti guarda ad artisti riconducibili alla fase del “ritorno all’ordine”, come Felice Casorati, Mario Sironi e Ubaldo Oppi, ma anche al francese Édouard Vuillard per quanto riguarda l’uso del colore e ai contemporanei Jonas Wood e David Hockney per quanto concerne la costruzione delle ambientazioni.
Proietti si muove con lo sguardo rivolto verso il futuro, ma, allo stesso tempo, non può tralasciare un confronto costante con il passato. La sua ricerca si rifà ad una scomposizione analitica della realtà di matrice picassiana: le figure sono appiattite, i soggetti principali sono ridotti a forme geometriche e descritti attraverso una separazione di forme e colori, si tratta di una sintesi formale riconducibile a Georges Braque nella sua ultima fase di sperimentazione cubista. Proietti respinge il principio fondamentale dell’arte accademica, la prospettiva, rifacendosi così al periodo post-impressionista e a colui che, tra i primi, aveva volutamente infranto i dettami di tale principio, Paul Cézanne.
Nei lavori di Proietti, il legame con il reale si fa fugace, la dimensione temporale è dissolta in una sensazione di immobilità transitoria mediante la creazione di ambienti sospesi e onirici che ci suggeriscono un’atmosfera metafisica di memoria dechirichiana.
Andrea Proietti lavora istintivamente e non predispone schemi logici. Talvolta non imposta nemmeno una bozza preparatoria. Questo, per l’artista, è il metodo migliore per raccontare quello che sente. Non intende forzare la sua arte e, di conseguenza, la sua impulsività e immediatezza attraverso un paradigma.
Al centro del suo interesse c’è il tentativo di rendere visibile all’osservatore un aspetto non immediatamente percepibile: l’emotività.
L’artista ci offre una pittura mentale che vuole rappresentare non solo ciò che è dato alla vista, ma tutto ciò che c’è e non c’è, assenze e presenze. Nei suoi lavori si percepisce il desiderio di un’analisi introspettiva per dare voce alla sua natura originaria, ed è proprio questa sensazione primordiale ad attirare l’artista. In essa smette di chiedersi “chi sono” per dare inizio a una considerazione sul modo in cui egli stesso si rapporta con la realtà. Con mirabile sintesi Proietti riesce a cogliere l’essenza dei suoi soggetti in una pittura che, a suo dire, interpreta ciò che non sa pronunciare e nemmeno pensare.